Lo spettacolo è un’indagine sull’attore, sul metodo, sul ruolo (forse obsoleto) del Maestro in teatro.

Molto spesso l’approccio col teatro nasce in un laboratorio e se si è giovani e fuori dalla routine generazionale, si intraprendono percorsi di formazione sempre più avanzati, condotti da quelli che vengono ancora definiti nell’immaginario teatrale “Maestri”.

Come bambino è sostanzialmente autobiografico, vedendo in scena sedici ragazzi, attori, molto giovani e tratta in modo tragicomico molti degli elementi – e molti degli stereotipi – che si praticano nella formazione dell’attore, su tutti il training fisico, la ricerca della memoria, la trasposizione della vita in scena. Minestroni di Pirandello, Stanislavskij, Kantor, Grotowski… ovvero i Maestri ai tempi in cui definirsi (definire) tali aveva probabilmente un senso.

Come bambini in classe, gli interpreti seguono le indicazioni del maestro, fino a quando la materia teatro non diventa una sorta di prigione, troppo difficile da sostenere, per la sua contaminazione con la realtà che va a creare un cortocircuito nell’apprendimento e nella comprensione dell’allievo stesso.

La figura del Maestro rappresenta il regista, l’insegnante di scuola, ma anche il padre; è multiforme, è il fantasma di Amleto…

A un certo punto, come bambino, ogni attore ha bisogno di giocare. Come bambino, ogni interprete piange davanti alle costrizioni.